Ed eccoci dunque giunti al nuovo anno. Nuovi propositi, nuovo sito. Vecchie abitudini, oggi si parla di privacy.
E’ di questi giorni la notizia, infatti, che il colosso azzurro dei social network abbia ricevuto l’avviso di una class action di quelle da far tremare case a palazzi (in America, qui da noi non esiste nulla del genere), e se avete seguito Tech Scene, saprete che gli Stati Uniti non sono nuovi a questo tipo di ribellioni simboliche, è già successo a Google con il caso Gmail. Lì si disse che è legittimo se non ovvio aspettarsi che le proprie mail vengano lette da occhi non proprio indiscreti. Non è lecito, ma neanche impossibile per chi il servizio lo gestisce.
E’ adesso la volta di Facebook: pare che la creatura di Zuckerberg, dopo aver macinato soldi tramite pubblicità (le fan page non sono più condivisibili da più utenti in quanto solo gli amministratori possono condividere i proprio contenuti, tutto a favore delle pubblicità pay per click vendute sul sito) ed averne persi a barche in borsa, viene adesso rivelato ciò che una mente non troppo brillante (come un italiano medio, per dirne una) avrebbe capito da tempo: le conversazioni su Facebook vengono filtrate per estrapolare link e parole chiave per vendere ancora più pubblicità (o così dicono).
Dal canto suo dalle parti di Facebook si difendono negando tutto, spetterà ora ad un giudice stabilire se Facebook è o no una sorta di agente segreto legalizzato, almeno fino ad ora.
Stessa sorte sta toccando a Whatsapp. Pare infatti che la sicurezza della popolare app di instant messaging sia in forte rischio. Anzi, pare che non ci sia proprio la sicurezza. Nascono infatti app come mSpy che consentono tramite una rete wifi di leggere tutte le conversazioni che avvengono sulla stessa rete. E’ l’inizio della fine visto che tale baco è stato scoperto oltre 2 anni fa e niente si è mosso da allora, ma si pensa che la privacy per gli utenti non sia altro che un termine inglese dalla dubbia utilità. E no, c’è ancora chi pensa che non sia opzionale, per fortuna.