Passò in sordina, ad onor del vero, la fusione tra TI e Telefònica, società spagnola che si occupa di telecomunicazioni dagli anni ’20, avvenuta nel 2005. Da allora le cose si sono evolute parecchio, ma in meglio o in peggio?
Beh, in realtà, nè l’uno nè l’altro. La rete, in Italia, è in una fase di stallo quasi totale proprio dal 2005, anno in cui venne approvato l’upgrade per tutte le linee di fascia base allo standard europeo di 7 megabit al secondo. Da allora l’arretratezza e l’inettitudine della classe politica italiana, che ha sempre tardato a legiferare in termini di avanzamento tecnologico, specie nel campo delle telecomunicazioni, ha fatto sì che l’Italia accusasse il colpo e rimanesse incastrata tra il pagamento obbligatorio di un canone per le reti fisse ed una copertura di rete della banda minima garantita dai contratti che a detta della dirigenza si attesta sul 99% del territorio, ma che in realtà è ferma ad un triste 80%.
Su Telecom ce ne sarebbero di cose da dire, dall’assistenza che ha sempre lasciato un po’ a desiderare, ai costi inspiegabili dei servizi offerti, ma non è questo l’argomento di oggi. Ciò che è avvenuto è che Telco, holding che deteneva parte delle azioni di TI, è stata ceduta alla spagnola Telefònica per un pugno di noccioline, cosicchè quest’ultima arrivasse a detenere il 65% della società che arriverà dapprima al 70% e poi al 100% appena ci sarà il vaglio dell’antitrust.
Quello che ora tutti si chiedono è: ed agli abbonati adesso cosa accadrà? E’ molto semplice: proprio nulla. O al massimo si rischia il downgrade generale. Perchè, dite? E’ presto detto: se TI doveva far fronte ad un debito di 28 miliardi, cosa che impediva alla società, mangiata viva dalla malversazione, di investire per il rinnovamento, Telefònica non è da meno con oltre 50 miliardi. Questo significa che soldi per l’investimento non ce ne sono e che quindi lo spettro dello smantellamento è vivo oggi come ieri.
Ben fatto, Telecom!