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Giusto un paio di giorni fa, Thom Yorke, frontman e voce dei Radiohead, pubblicava questo tweet:

— Thom Yorke (@thomyorke) July 14, 2013

Un messaggio inequivocabile, scaturito da una serie di fattori, su tutti la pirateria e la scarsissima remunerazione da parte di servizi, quali Spotify appunto, per la distribuzione di contenuti multimediali on demand.

Ipsos, società francese che si occupa di raccogliere dati di mercato, ha reso noto in data odierna, comunque, che, stando almeno a quanto riportato dai loro campioni, c’è un paese che viaggia in direzione “ostinata e contraria”. Si tratta della Norvegia e, anche se i campioni fanno riferimento solo al sito Torrentfreaks, offre una panoramica rassicurante. Sembra, infatti, che negli ultimi 4 anni il download illegale di contenuti musicali (e recentemente, anche se in minor misura, anche quello di show televisivi e film) sia precipitato dagli 1,2 miliardi registrati nel 2008 ai 210 milioni registrati nel 2012, nonostante la Norvegia sia uno dei pochi paesi europei a non aver bloccato l’accesso a The Pirate Bay. Ad incorniciare il tutto, l’approvazione di una legge anti-corruzione “definitiva”, in vigore dallo scorso 1° luglio.

Sembra strano, ma il tweet di Yorke e questa statistica hanno un punto in comune. Già, perchè il filo conduttore che ha portato all’inversione di tendenza sarebbe da ricercarsi, secondo Ipsos, proprio nelle piattaforme on demand quali Spotify e Netflix, che sbarcherà in Norvegia il prossimo ottobre. Ciononostante, il cantante dei Radiohead ha annunciato di voler ritirare tutta la propria discografia (anche quella relativa al progetto “Atoms for Peace“, in cui è affiancato da Flea, bassista dei Red Hot Chili Peppers, Joey WaronkerNigel Godrich e Mauro Refosco), annuncio confermato anche dallo stesso Godrich su Twitter:

— nigel godrich (@nigelgod) July 14, 2013

Da qui, la risposta direttamente dal colosso dello streaming musicale, che tramite comunicato stampa afferma di aver versato, sino ad oggi, più di 500 milioni di dollari in diritti d’autore. Cifra che è destinata a raddoppiare entro il 2013, come si legge nel comunicato (secondo le stime).

Il problema più grande sta però nel fatto che di questi 500 milioni (ed oltre), la percentuale riservata agli artisti è ignota, visto che le etichette devono siglare un patto di riservatezza alla firma del contratto. L’unico parametro conosciuto indica che il pagamento è proporzionale all’apporto di popolarità che l’artista fa guadagnare ala piattaforma, metodo aspramente contestato da Godrich, secondo il quale questo sistema garantirebbe un guadagno cospicuo solo per le major più affermate, penalizzando di fatto piccole etichette ed artisti indipendenti che si appoggiano ad aggregatori, i quali non riuscirebbero, sempre secondo Godrich, ad autofinanziarsi in questo modo.